03/02/12

Per non dimenticare. Dalle pagine di Joyce: Le Partigiane.

Joyce Lussu. Elaborazione e computergrafica di G. di Pastena
Ebbene sì, la lettura di Padre Padrone Padreterno di Joyce Lussu mi ha letteralmente stregata, volendo usare un termine che Le sarebbe piaciuto molto, considerato che la Nostra trascorse gli ultimi anni della sua vita a narrare storie di streghe.
Sarà passato del tempo, ma la Resistenza per me non è solo una pagina di storia che non voglio consegnare all'oblio dei fascisti. La Resistenza è anche un valore, necessario e  indispensabile  soprattutto oggi che le destre al potere vogliono cancellare questa voce dai libri di testo e dal nostro vocabolario. E allora io resisto, non mi piego, voglio ricordare.
Questo post è dedicato alle partigiane, che, all'indomani della Liberazione, vennero allontanate subito dalla Storia, alla quale esse avevano pur pagato un tributo di sangue, e  risospinte verso i più tradizionali ruoli di cura. Errore gravissimo, di cui oggi noi donne paghiamo lo scotto, attraverso un immaginario svilente, povero, mercificato del nostro corpo, immaginario che ci assegna un ruolo subalterno nella società. Ma anche le sinistre, responsabili di questa cacciata, hanno pagato questo errore gravissimo con il contrappasso della loro scomparsa dalla scena politica odierna.
Le parole delle Lussu, protagonista e testimone diretta della Liberazione e del dopoguerra, rimasero dunque inascoltate. Senza memoria storica, senza sapere da dove veniamo, non c'è possibilità di futuro. E' per questo che voglio ridare voce a quelle parole, dedicando questo post alle pagine dimenticate di Padre Padrone Padreterno.
Buona lettura

La questione femminile, all'interno della Resistenza, progredì autonomamente, per le situazioni di fatto che si erano create e che imponevano comportamenti diversi; non per merito delle forze politiche che la dirigevano.[...]

Durante la Resistenza, una donna poteva, se era abbastanza matura e decisa ad affermare la sua parità con l'uomo, realizzarla completamente; ma spesso, proprio perché non riusciva a superare le sedimentazioni interiorizzate da secoli, si adattava a un ruolo subalterno che gli uomini accettavano, anche se non lo imponevano, per comoda consuetudine più che per volontà autoritaria. [...]
Posto di fronte a una critica politica, il compagno riconosceva la sua incoerenza, ed era anche contento di liberarsene, almeno come prima reazione. Ma la maggior parte delle donne, uscite di colpo dal chiuso della vita domestica al campo aperto degli scontri generali, non potevano aver acquisito gli strumenti ideologici per padroneggiare tutti gli aspetti; e i partiti, che glieli avrebbero dovuti fornire, non solo non lo facevano, ma spesso agivano in senso nettamente contrario.
Le poche conquiste fatte dalle donne nella Resistenza, sia nei confronti della famiglia che della società, furono conquiste autonome, frutto di condizioni e di esperienze concrete; e arricchirono il movimento popolare di caratteri e valori umani e morali, come l'assoluto disinteresse, l'assenza di calcoli di potere per il dopo, la semplicità antiretorica del senso di giustizia, la generosità dei sentimenti, la modestia che fece sembrare naturale non chiedere riconoscimenti, né cariche, né lodi, rientrando nella vita quotidiana come se anche il tremendo sforzo della guerra fosse stato un aspetto dei quotidiani doveri.
 I primi vent'anni dopo la Liberazione non sono favorevoli ai giovani e alle donne. La vecchia classe dirigente, industriali e proprietari terrieri, burocrati e magistrati, dominano ancora la scena politica e i partigiani vengono espulsi dalle forze dell'ordine. Nelle sinistre la direzione dei partiti e dei sindacati viene delegata ai padri della patria, gli anziani e gli adulti che hanno fatto la Resistenza, e i giovanissimi, che per ragioni di età la Resistenza non l'hanno fatta, vengono trattati con paternalistica condiscendenza e non viene concessa loro nessuna autonomia. Le madri della patria, medaglie d'oro e d'argento, poche vive e molte alla memoria, vengono portate in palma di mano ed esibite in tutte le cerimonie tra garofani e bandiere rosse; ma pochissime entrano in parlamento, nessuna nelle direzioni dei partiti e dei sindacati, quasi nessuna nei comitati centrali; alle partigiane e alle staffette che partecipano alle sfilate viene messa al braccio una fascia d'infermiera, per ricondurle a un ruolo meno disdicevole della loro femminilità. Dio, Patria e Famiglia è ancora il motto della Repubblica che dovrebbe essere fondata sul lavoro e sull'antifascismo e i dirigenti socialcomunisti si affannano a dimostrare, senza peraltro convincere affatto i loro avversari, che non sono dei senza-Dio, senza-Patria e senza-Famiglia.
La storia non si fa con i se, e si potrebbe discutere a lungo se lo zelo perbenistico delle sinistre non fu eccessivo anche in quel periodo caratterizzato dal ricatto della fame e dal gioco delle alleanze che ci legava al carro americano. Ma certo, dal punto di vista dell'emancipazione femminile, fu un disastro. L'unica grande conquista fu il voto, che oramai non si poteva più negare a nessuno, ma la mancanza di una linea politica di contestazione riguardo alla religione e alla famiglia fece sì che la maggioranza delle donne, comprese molte mogli di compagni di sinistra, votassero a destra. Le donne e i giovani più politicizzati vennero bloccati in organizzazioni subalterne, senza poteri decisionali. I movimenti di massa vennero riassorbiti e inquadrati, e ai braccianti meridionali che occupavano le terre fu offerta la soluzione giolittiana dell'emigrazione interna ed esterna. Gli operai non tennero i consigli di gestione di cui si era parlato durante la Resistenza, o non se ne poterono servire per trasformare le relazioni aziendali. I modi e i rapporti di produzione erano cambiati ben poco, dall'unità di Italia in poi.

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Testo tratto da J. Lussu, Padre Padrone Padreterno, edizione Mazzotta, 1976, pp. 84/87
Fotografie reperite nel web.





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