23/10/11

Violentate sì, violente mai


In questa settimana seguita alla manifestazione del 15 ottobre, molto ho letto e riflettuto sugli scontri che hanno letteralmente infiammato Roma. Come era previdibile, la discussione si è incagliata nella solita dicotomia violenza/non-violenza, con le inevitabili condanne e prese di distanza dalla prima e la scontata, e spesso forzata, adesione ideologica alla seconda. Non sono mancati tentativi di scavalcare la logica della contrapposizione binaria e di esaminare la questione nell'ottica della complessità, tentativi che però vengono sistematicamente boicottati dalla stampa e dalla televisione di regime, oops, di Stato, tutte protese al riduzionismo banalizzante di cui sopra.
Qual è la mia posizione? Io da che parte sto? Confesso la mia difficoltà a orientarmi, a trovare un filo di Arianna che mi porti fuori dalla matassa del caos massmediatico in cui sono piombata. Così mi imbatto in un video, postato da Loredana Lipperini nel suo blog, dove scopro che si è aperta un'interessante discussione circa l'anomalia delle donne violente. 
Se si vuole prestare fede al video (e io lo voglio fare, perchè anche se fosse un fake, ben rappresenterebbe realtà che pur esistono) l'incappucciata che parla è una di queste anomalie: giovanissima, ragazza madre, disoccupata, non ha una casa, le rode il culo, si definisce più volte incazzata e non si sente rappresentata dalle istituzioni che, nonostante le sue difficoltà, non l'aiutano a provvedere a sua figlia.
L'identikit di questa giovane anomala mi fornisce il filo rosso di congiunzione al mio post precedente, dedicato ad altre ragazze madri, quelle operaie di Barletta costrette ad un lavoro nero che le ha letteralmente schiacciate nel totale silenzio e disinteresse di quello stesso Stato da cui la giovane incappucciata anomala non si sente rappresentata.
Il caso delle operaie di Barletta è già stato archiviato alla voce "morti bianche". Per loro sono già finiti i cori del pietismo e della partenalistica comprensione, solidale anche con il donatore di lavoro che nell' "incidente" ha perso sua figlia. Lacrime, fiori, lumini per le operaie di Barletta, senza indulgere troppo sul loro status di ragazze madri, chè nel paese più maschilista d'Europa non si sa mai, avrebbe potuto gettare un'ombra sulla loro immagine di infaticabili lavoratrici di questa repubblica (af)fondata sul lavoro.
Nessuna paternalistica comprensione, invece, per la giovane incappucciata, che evidentemente non ha ancora voluto piegarsi allo schiavismo di 3,95 l'ora per 12 ore al giorno, in nero. Lei il nero se lo è messo addosso, ci si è coperta ed è scesa in piazza a urlare la sua incazzatura, insieme a un branco amorfo di indignados, molti dei quali indignati perchè, poverini, fanno fatica a pagare le rate del mutuo per la casa o della finanziaria per la macchina nuova. No, lei non è andata a fare la passeggiatina a Roma, co' li cartelli e co' le danze, ma a manifestare tutta la sua rabbia, che si è trasformata in violenza alla prima scintilla: quando la polizia ha caricato con gli idranti quella che definisce una piazza concordata e si è data ai caroselli per spezzare il corteo, lei ha iniziato a tirare qualsiasi cosa le capitasse sotto le mani verso quella polizia che per lei non rappresenta altro che uno Stato latitante e corrotto verso il quale esprime solo disprezzo. La vogliamo definire black bloc? Se volete chiamarmi così, sì, ci risponde lei. Ma non è questo il punto, chè, personalmente, delle etichette mi interessa poco. Il punto è semmai capire quello che intendiamo per violenza e se ci limitiamo a considerare tale unicamente il lancio di sanpietrini e le macchine incendiate.
Come vogliamo definire le politiche neoliberiste e i tagli al welfare su cui insistono il Fmi e la Bce? Che dire delle politiche aziendali di un Marchionne? Come sono le ripercussioni del capitalismo finanziario sui cittadini e sulle cittadine? Cosa viene agito nei Cie, all'interno dei quali non è ammessa la stampa? Cosa si è permesso che si scatenasse a Lampedusa? Qual è la risposta ai migranti che provengono dai paesi di cui si celebrano le primavere anti-dittatoriali? Come sono le risposte della classe politica italiana (cito un Brunetta per tutti) alla precarietà lavorativa ed esistenziale delle giovani e meno giovani generazioni? Come è stata l'approvazione della riforma Gelmini, contestata da student* e docenti del mondo scolastico e universitario?
La risposta a ciascuna di questi interrogativi ha a che fare con la violenza. Se poi aggiungiamo che, nel caso delle donne, a queste forme di violenza economica e sociale si somma anche quella di genere, che spesso viene agita tra le mura domestiche, non si capisce perchè l'incappucciata armata di sanpietrini dovrebbe rappresentare un'anomalia rispetto agli uomini.
Viviamo in una società che da cittadini e cittadine ci ha progressivamente trasformato in sudditi su cui viene esercitato un violento abuso di potere che, ad un certo punto, va in corto circuito. L'incapacità della classe dirigente di ascoltare e dare risposte concrete a un evidente malessere sociale si è tradotta in arroganza, disprezzo verso i cittadini e le cittadine e verso le medesime istituzioni che essi stessi rappresentano e, non da ultimo, in repressione. 
Siamo violentat* tutti i giorni. Il malessere si è trasformato in esasperazione, tensione, rabbia ed infine è sfociato in una forza distruttiva che ha travolto non solo le vetrine della banche, simboli del potere finanziario, ma anche anche ogni sotacolo incontrato sulla traiettoria, incluso la fiat punto che non c'entrava niente e la statuetta della madonnina, anch'essa simbolo di un potere, quello clericale, che evidentemente, con i suoi privilegi e le sue immunità, concorre al montare della rabbia.
Non cambia sostanzialmente il quadro, ma semmai lo aggrava, stabilire se ci fossero o meno degli infiltrati, se fossero estranei alla manifestazione questi fantomatici black bloc che, piovuti dal cielo come marziani, da Genova 2001 a Roma 2011, sono stati funzionali a delegittimare l'espressione del dissenso e a spostare l'asse della discussione dai contenuti alle forme del manifestare. Il punto rimane la violenza che subiamo tutti i giorni, senza poterci difendere e sottrarre con cortei tanto numerosi e pacifici, quanto inutili, che ogni volta cambiano colore, dal varipinto, al viola, al rosa, ma non le dinamiche della politica in Italia, in Europa e in America.
E' avvilente, oltre che pericoloso, perchè, in assenza di analisi e risposte adeguate,  foriero di altre reazioni virulente, il constatare come una situazione tanto complessa e sfaccettata, che oltretutto esula dai confini nazionali, venga ridotta a banali dicotomie pro/contro e dia luogo al rinnovarsi di vecchie e sclerotizzate stereotipie, come quelle che, in fin dei conti,  vogliono le donne violentate sì, ma violente mai.
Se la violenza maschile, anche quando viene deprecata, è in qualche modo ritenuta normale, connaturata all'indole del soggetto, nel caso di donne ci si meraviglia se la reazione di queste non è consona a quel modello stereotipato di calma, mitezza e docilità che, trasmesso dai secoli, non dovrebbe incrinarsi, a parere di molti, nemmeno di fronte alla mancanza di un reddito, all'impossibilità di immaginare un futuro, alla violenza esercitata sui corpi. Ci si meraviglia, quindi, che la nostra condotta non sia quella di angelicate santerelle che lo prendono in culo senza colpo ferire, ma che, colme di rabbia, afferriamo un bastone e reagiamo.
Quando i più elementari diritti sono negati, rivendichiamo il nostro diritto/dovere a incazzarci e a manifestare la rabbia, a lasciarla uscire e a liberarcene. Non siamo disposte ad accettare ancora questa ennesima prerogativa maschile. Non abbiamo nessuna intenzione di continuare, con un sorriso idiota stampato in faccia, ad abbassare docili la testa e accontentarci di condizioni di vita miserevoli, mettendo continuamente a repentaglio la nostra salute e la nostra pelle, salvo poi godere di un minuto di gloria, concesso da un ipocrita paternalismo buonista sulle nostre lapidi, quando il mondo ci crolla addosso, come è accaduto alle operaie di Barletta.




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