09/10/11

Quando la morte bianca si tinge di rosa

Posted by PicasaE' passata una settimana e già si spengono i riflettori sulla tragedia delle quattro operaie tessili di Barletta, morte in seguito al crollo della palazzina nel cui scatinato lavoravano in nero una media di 12 ore al giorno per 3,95 l'ora. Io voglio ricordarle a una settimana di distanza dalla loro scomparsa, a mente un po' meno calda, mentre la cronaca e le istituzioni rivolgono la loro frivola attenzione altrove.

Questa storia non ci racconta solo di lavoro nero, del ritorno della schiavitù in Italia, della violazione dei diritti più elementari e delle norme sulla sicurezza. E' qualcosa di più grave, di più violento e vergognoso, perchè le protagoniste non erano esattamente lavoratori, come va tanto di moda generalizzare, ma operaie. Donne. La maggior parte di loro erano ragazze madri, una aveva un marito disoccupato da mantenere. Andava lei a lavorare per meno di 4 euro all'ora e  per di più in nero e quando tornava a casa dopo 12 ore di schiavitù aveva, come le altre, figli da accudire, spesa, faccende da sbrigare.
Questa storia non ci dimostra solo le funeste conseguenze del venir meno delle conquiste in materia di diritto del lavoro, non ci parla solo di violazioni di norme, ma anche di un vuoto normativo tutto italiano, quello sulle politiche di genere.
In Germania, per esempio, le ragazze madri, tra le misure di tutela e di sostegno, percepiscono un assegno di 800 euro mensili fino ai 18 anni del/della figlio/a. Ne consegue che, con un minimo di tutela alle spalle, diventa più facile esigere il rispetto di leggi esistenti e avanzare richieste, si è meno ricattabili e sfruttabili.
In Italia, invece, non solo non esistono misure analoghe a quelle europee a sostegno delle madri che lavorano, ma è perfino assente un dipartimento per le politiche di genere, ancorchè questo sia previsto dalla Convenzione per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Cedaw) a cui l'Italia ha aderito nel 1985. Eppure è un trattato Onu internazionale, il più importante, sulle questioni di genere e vincola gli stati membri a creare tribunali e istituzioni pubbliche per garantire alle donne una protezione efficace e ad adottare misure per eliminare tutte le forme di discriminazione praticata nei loro confronti da parte di individui, organizzazioni e imprese. Dove sono questi tribunali e istituzioni pubbliche? Mi si potrebbe rispondere che in Italia esiste un ministero delle pari opportunità, ma, a guardar bene, è solo fumo negli occhi, sia perchè quel ministero agisce su delega della Presidenza del Consiglio, sia perché è uno dei Ministeri senza portafoglio. Nel caso delle operaie di Barletta, dunque, non è in ballo solo la violazione di leggi, ma anche un vero e proprio vuoto istituzionale e normativo, come nei paesi del terzo mondo che hanno aderito alla Cedaw nelle stesse modalità italiane, cioè a parole.
Ecco, dunque, l'ennesima riprova che il grado di civiltà di un paese si misura sulla questione femminile. Non meraviglia quindi la nostra crescente prossimità alla Cina e al sud-est asiatico in materia di lavoro, non è un caso.
Accostare le operaie di Barletta ai morti della strage della ThyssenKrupp, come ha fatto Giorgio Cremaschi dalle pagine di Liberazione , mi sta bene fino a un certo punto e fatti i dovuti distinguo, non quando, come invece accade, le disanime su capitalismo finanziario, lavoro nero e norme di sicurezza oscurano la questione femminile.
Sfruttamento, mancanza di diritti, noncuranza delle leggi sulla sicurezza, se è vero che interessano sempre più diffusamente i lavoratori in generale, è altrettanto vero che si concentrano soprattutto nel caso di donne e voglio solo accennare ai casi in cui queste sono anche extracomunitarie: operaie, badanti, donne di servizio, baby sitter al soldo di famiglie cosiddette "perbene" che si ammantano di un progressismo di facciata votando a sinistra, ma che non si fanno scrupolo di esigere orari massacranti per 600/700 euro mensili, anche allugando le mani con gli scopi più disparati.
Ecco, questo va detto, che le donne sono il bersaglio privilegiato della macelleria sociale. E va portato alla luce, distinto e nominato, non oscurato con assimilazioni e riduzioni a una casistica generale.
E allora, la responsabilità non va scaricata unicamente sul sindaco, sull'ufficio tecnico comunale, sui vigili, sulle riforme strutturali del Fmi e della Bce, per lo meno non va attribuita solo a loro, ma a ogni singolo componente di questa società sessista, che sta facendo pagare il prezzo maggiore della crisi a noi donne e ancora insiste con prepotenza a negarlo e a non vedere le questioni anche e soprattutto da una prospettiva di genere.
Responsabile è anche l'uomo della porta accanto, che si rifiuta di riconoscere una questione femminile e di collegare a questa quanto è accaduto a Barletta. Perchè le devastanti riforme strutturali in atto, insieme al progressivo sgretolamento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici,  nascono e trovano terreno fertile proprio in una concezione selvaggia di società, che non tiene conto delle differenze e non si cura della specificità delle situazioni di chi è più debole, tra cui, purtroppo, le donne.    

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