18/08/12

Nonostante una sentenza di condanna, le Pussy Riot hanno vinto

Sul caso Pussy Riot, le tre femministe punk russe condannate ieri a due anni per teppismo motivato da religioso (?), si è già scritto e parlato tanto, anche a sproposito, per cui non intendo fare una cronistoria degli eventi, per la quale rimando a Femminismo a sud e agli articoli elencati di seguito a quello linkato.
Piuttosto che parlare delle Pussy Riot, preferisco far parlare le Pussy Riot e pubblicare la dichiarazione di chiusura al processo di Yekaterina Samutsevich, una delle imputate.
Da parte mia, mi limito a evidenziare in grassetto i passaggi che mettono in luce alcuni elementi chiave della performance, come l'appropriazione, da parte delle stesse, di una strategia comunicativa che si fonda sull'estetica e sull'immagine e il suo utilizzo rovesciato, per demistificarne tutta la falsità.
In questo senso, Yekaterina ha ragione, abbiamo vinto. Le Pussy Riot si sono appropriate autonomamente di uno spazio, quello della cattedrale di Cristo Salvatore, normalmente utilizzato dal Patriarca per incensare il governo di Putin e ne hanno ribaltato la funzione, mettendo a nudo la torbida connivenza tra la chiesa ortodossa e il regime, al fine di restaurare l'immagine di quest'ultimo, provato da una politica autoritaria e repressiva, propria di una dittatura. In più, tre ragazze, con l'unica forza della loro voce e dei loro corpi, si sono imposte all'attenzione di un pubblico di gran lunga più vasto di quello che non solo centinaia di manifestazioni, ma anche lo stesso Putin sia riuscito mai a raggiungere.
Che i e le benpensanti si affannino pure a snobbare, condannare e cercare un' etichetta dispregiativa per le Pussy Riot, salvo poi aver forse solo sentito vagamente nominare una tal Anna Stepanova Politkovskaja.
Evidentemente, il gruppo punk sa come meglio coinvolgere un pubblico che, il più delle volte, oltre ad avere memoria corta, si nutre per lo più di immagini ed è quindi poco avvezzo alla  lettura e alla riflessione.

DICHIARAZIONE DI CHIUSURA AL PROCESSO DELLE PUSSY RIOT
di YEKATERINA SAMUTSEVICH


Nella dichiarazione di chiusura ci si aspetta che l’imputato si penta, provi rimorso per quello che ha fatto o elenchi le circostanze attenuanti. Nel mio caso, così come in quello delle mie compagne del gruppo, è completamente inutile. Voglio invece dar voce ai miei pensieri rispetto alle ragioni che stanno dietro a ciò che ci è successo.