05/08/12

Se Dio è violent , Muraro è irrecuperabile... e mi molestano entrambi


 Devo ammettere che Luisa Muraro (o chi per lei) sa scegliere bene i titoli dei suoi libri. Se ho deciso di leggere questo brevissimo pamphlet dal titolo Dio è violent, meno di 80 pagine uscito per Nottetempo a 6 euro, pamphlet che a ragione lei stessa definisce libricino, è stato infatti per il titolo e per le recensioni entusiaste di Femminismo a sud.
Pensavo che si fosse ravveduta (o meglio svegliata) ed allontanata, come a suo tempo fece Adriana Cavarero, dalle posizioni di certo femminismo della differenza, che vorrebbe tutte le donne portatrici di un'aura metafisica di superiore moralità che le renderebbe immuni alla violenza, anche quando la subiscono dalla famiglia e dallo Stato. Invece niente, Muraro è irrecuperabile, anche quando parte dalla constatazione di un dato di fatto che si potrebbe anche condividere: cioè che è venuta meno la narrazione salvifica del contratto sociale e che tale venir meno non è imputabile tanto ai cittadini e alle cittadine, quanto allo Stato.
Allora, qual è la risposta di Muraro? Un vago ritirare il suo tacito consenso all'ordine che regola la convivenza. E dirsi, con un atto interiore che avrà delle conseguenze pratiche: io non ci sto, non do più credito alle leggi e alle autorità costituite, mi riprendo l'intera disponibilità di me e della mia forza, devo amministrarla io, poca o tanta che sia, e mi do la licenza di usarla
Dunque, io non capisco se la filosofa, ma mi verrebbe da dire la sofista, ci fa o ci è. La sua tesi non sta né in cielo né in terra ed è anche pericolosa perché, sostanzialmente, istiga ad una sorta di individualistica illegalità di massa, in virtù della quale ciascuna/o agisce per sé (io mi riprendo, mica noi ci riprendiamo), come individuo, senza essere legato e dunque in qualche misura se non protetto, almeno sostenuto, da una forma di organizzazione collettiva che abbia degli obiettivi e sappia più o meno dove voglia andare a parare. Questo si chiama individualismo borghese. Così, cara Muraro, si collezionano solo denunce, quando va bene, e sono proprio i/le più deboli a cadere vittime dei sermoni delle filosofe protette dalle loro torri d'avorio.
Sul finire del libricino, ecco che ritorna, immancabile, il leit motiv dell'eccellenza femminile, che arriva a sconfinare nella necessità di un'autorità femminile. Sì, proprio così, un'autorità femminile per correggere l'unilateralità mutilante dell'eredità culturale, avendo chiaro che l'autorità non va confusa né con il potere, da una parte, né con il prestigio dall'altra.
A parte il fatto che di autorità e autoritarismi ne abbiamo già abbastanza e che quindi non sentiamo il bisogno di un'altra forma di colore rosa, ci piacerebbe a questo punto capire, se non è potere e prestigio, cosa sia quest'auspicata autorità femminile. Ma questo non è dato sapere, la filosofa va avanti senza perdere tempo per chiarire e approda al consueto lido, quello della superiorità femminile, altro tormentone differenzialista e separatista al quale stavolta tenta di dare una motivazione storica: In pratica, voglio dire che tocca alle donne riformulare la questione della violenza e sollevarla pubblicamente con la radicalità che oggi s'impone, nell'urgenza in cui siamo di aprire un nuovo racconto per la convivenza umana. Le donne sono in posizione per sapere tutta la parte di frode che c'è nel racconto moderno del contratto sociale e nel principio del monopolio statale della violenza. Lo sanno per una duplice, opposta competenza: quella che dà loro l'esser dentro-fuori del contratto sociale e quella che dà loro la frequentazione intima della violenza sessuale,la violenza cioè che le colpisce a causa del fatto che sono di sesso femminile. Sugli ultimi due punti si potrebbe anche essere d'accordo, non fosse che tali constatazioni sembrano quasi spingere verso il separatismo, mentre le lotte si combattono con qualche speranza di vittoria quando si è insieme, unit* e non divis*, tanto più se, come nel caso della violenza di genere, la battaglia è tutta culturale e riguarda non solo le vittime, ma anche e soprattutto i carnefici.
Quello che, in definitiva, manca a questo pamphlet e dunque alla sua autrice, è la profondità di un'analisi politica che non si fermi alla dimensione interiore degli ordini simbolici. 
Del resto, in una intervista audio a sofiaroney, la Muraro, riferendosi ad esempio alle continue riforme dell'università, dichiara candida che se coloro che legiferano non hanno idee, è meglio che non facciano niente. E qui casca l'asina, perchè quei coloro a cui allude in maniera vaga, guardandosi bene dal prendere posizione e dal fare nomi e cognomi, le idee ce le hanno eccome e hanno l'obiettivo di riportare la società a condizioni di vita e di lavoro ottocentesche, alla classica dicotomia tra servi e padroni. L'uso della violenza allora non è casuale, ma mira a reprimere ogni istanza che si opponga. Possibile che una filosofa autorevole, che straparla di autorità, non se ne sia accorta?
Il finale è memorabile e del tutto in linea con gli ordini simbolici materni cui la nostra deve tanta parte della sua fortuna. A proposito del grado di violenza a suo giudizio legittima perchè l'azione sia efficace (quale azione, di cosa stiamo parlando?) la risposta è Quando è il caso di decidere come comportarci, regoliamoci come fanno le cuoche con il sale:"Quanto basta".
La similitudine con la cuoca è vermanente esemplificativa dell'immaginario simbolico della Muraro: un immaginario da anni 50, in cui lo spazio della donna è la casa, più propriamente la cucina, la sua competenza e la sua autorevolezza si vedono ai fornelli, di cui la donna, in quanto tale, è padrona assoluta. Solo che regolarsi con il sale e con il tritolo non sono esattamente la stessa cosa. E un'associazione del genere è, oltre che ridicola, estremamente pericolosa. Magari la Muraro ha pure la domestica e nemmeno si prende la briga di cucinare. Non c'è altra possibile spiegazione a una similitudine tanto infelice e scellerata quale quella tra uso del sale e uso della violenza. In entrambi i casi, la filosofa nella torre d'avorio non sa di cosa parla.

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